Il figlio dell’Europa

Era un ragazzo di un anno più grande di me, ma poco cambia. Avrebbe potuto essere uno dei miei amici in giro per l’Europa per studio o per lavoro.

Persone che inseguono i propri sogni e respirano la stessa aria a Parigi, a Bruxelles, a Berlino, a Milano, a Roma o a Madrid. Non importa il nome della città, conta quanto vivi dei tuoi sogni.

E alla fine, per la mia generazione, la parola Europa è proprio questo: il sogno di un mondo che parla di sè, si racconta. Un mondo che non è perfetto, ma che ha il coraggio di andare oltre quelle difficoltà che si incontrano tutti i giorni per creare qualcosa di più bello, e possibilmente più giusto. In barba a chi non ne capisce il senso e vede solamente numeri, conti e tasse.

Quella di Antonio è uno di quei racconti che meritano di essere ricordati nel modo più alto. Una storia finita nel più triste dei modi, e come la sua tante che invece vanno avanti tra mille fatiche.

Storie che devono essere raccontate soprattutto a chi, di questa nostra generazione che si spera creerà un futuro migliore, non può respirare quell’aria, a chi non sempre ha l’opportunità di studiare, vivere, lavorare o “fare rete” fuori dalla propria città. E sono tanti, e proprio per queste persone dobbiamo creare noi, figli dell’Europa, un mondo migliore.

Per dare a tutti questa opportunità chiamata Europa.